Un
paio di settimane fa, sono stata in classe di Michela perché, per tradizione, i
genitori dei bambini dell’ultimo anno della materna sono invitati a raccontare
il loro lavoro.
Non
avendo partecipato quando, ai tempi di Tommaso, lavoravo in Telecom Italia,
figuriamoci se pensavo di propormi quest’anno, che ancora non ho deciso cosa
fare da grande… Ma Michela, a differenza del fratello, ha talmente insistito che
non ho avuto il coraggio di dirle di no.
E
mo? Ho pensato… che lavoro faccio, io?
Sarebbe stato facile parlare del mio lavoro ai tempi di Telecom Italia. Triste
e grigio, ma facile. Già più complicato all’epoca di Bio’n’Happy, la società di
produzione e vendita di pannolini lavabili e prodotti per l’infanzia che ho
contribuito a creare ma di cui, già da un paio d’anni, non faccio più parte. Ma
adesso? Adesso che non sono (e non mi
sento) né carne né pesce, che lavoro
faccio?!
Così,
per prepararmi ad affrontare 25 microindividui, di età compresa tra i 3 e i 6
anni (più 3 che 6!), ho iniziato a
riflettere alle mille parti in commedia che faccio quotidianamente, e mi sono
soffermata su quella che mi piace e mi appassiona di più (No, non ci provate: la mamma non è un lavoro! Io non conosco una donna che
farebbe la mamma per denaro!!).