mercoledì 18 giugno 2014

Dal ciuccio al cellulare


La scuola è finita. Le pagelle le abbiamo (più o meno) ritirate; le feste di classe le abbiamo organizzate; e ora siamo qui, come ogni anno, a porci a stessa domanda: per la promozione, regalo si o regalo no?

Mentre cerchiamo di trovare, una volta per tutte, risposta a questo esistenziale interrogativo, secondo solo a “Chi siamo, da dove veniamo?” figlio Francesco, come suo fratello un anno prima di lui, ha conquistato il tanto ambito cellulare. 
Per la cronaca si tratta di un piccolo smatphone che comprammo l’autunno scorso per tamponare “un’emergenza” e, quasi immediatamente, riposto in un cassetto in attesa che, anche per Francesco, arrivasse il momento giusto.

Ma quand’è il momento giusto? Come in ogni aspetto che riguardi l’educazione dei figli, il concetto di giusto e sbagliato sono a dir poco soggettivi. Noi abbiamo scelto di dotare i ragazzi di cellulare nel momento in cui abbiamo ritenuto arrivato il momento di allentare le briglie e iniziare a concedere loro una maggiore libertà di movimento, il che ha coinciso con l’inizio della scuola media. Ovviamente, impazienti ed eccitati, i ragazzi ci hanno implorati di anticipare il momento alla fine della scuola elementare per poter restare in contatto con i loro compagni…

Così, in una calda mattina della scorsa settimana (quella in cui tutti i computer di casa hanno dato forfait e la perturbazione del Nord Europa non si era ancora abbattuta sul nostro Paese), mi sono recata al centro commerciale, quello in cui per una vita non ho comprato che ciucci e pannolini (com’era lontana l’epoca dei lavabili!) e, invece di dirigermi verso il solito negozio di puericultura (come già era accaduto l’anno scorso), ho preso la strada di quello del nostro gestore telefonico preferito.

Per quanto sia Tommaso che Francesco abbiano ricevuto il cellulare (oh pardon, lo smartphone) proprio sul finire della V elementare, e per quanto alla fine di una lunga serie di riflessioni, senza turbare l’anima di Maria Montessori, sono arrivata alla conclusione che un regalo per la promozione non sia cosa poi tanto disdicevole, non mi sento di associarlo al concetto di premio. Il cellulare non è un premio.

Il cellulare è uno strumento per comunicare, e come tale deve essere trattato.

Se fino alla prima settimana di giugno occorre presentarsi di persona personalmente, al cospetto della maestra, per riprendere i figli a scuola, tre mesi dopo nessuno mostra il benché minimo interesse alle modalità in cui i ragazzi facciano ritorno a casa. E le suddette modalità sono di sicuro le più svariate ma quasi nessuna, salvo casi del tutto eccezionali, prevede la presenza dell’amato genitore di fronte al cancello della scuola.

E se fino alla V elementare l’intensa vita sociale è regolata e gestita in toto dai genitori, appena dopo l’estate guai ad azzardarsi a prendere l’iniziativa. La prima mossa spetta esclusivamente ai ragazzi, tu madre vieni chiamata in causa in un secondo momento, per preparare-il-pranzo, recuperarli-a-metà-strada, vegliare-come-un’ombra-silenziosa-e-discreta-sul-loro-studio-pomeridiano-comparendo-all’ora-della-merenda-con-un-ciambellone-appena-sfornato.

Non parliamo poi del momento in cui arriva la fatidica domanda, solitamente appena dopo Pasqua, quando la primavera non è più solo una teoria …ma’, posso uscire con i miei compagni?”, per diventare poi una semplice affermazione, o peggio ancora, una educata comunicazione di servizio, nello spazio di un “…ma si, se hai finito tutti i compiti puoi andare”. Sì, perché il potere della gentile concessione riusciremo a esercitarlo a mala pena un paio di volte. Dopo potrebbe essere solo un braccio di ferro, un do ut des, o il più frequente oggetto di estenuanti trattative.

Anche noi, all’epoca nostra, ci siamo (più o meno) trovati nelle stesse situazioni, eppure siamo (più o meno) sopravvissuti anche senza i cellulari e gli smartphone, ma non starò qui a replicare le obiezioni che avrebbe mosso mia nonna perché, primo all’epoca nostra i cellulari erano forse giusto in mente dei; secondo i marciapiedi erano costellati di cabine telefoniche, ce n’era una ogni venti metri, e i bar erano dotati di telefoni pubblici; terzo è decisamente più pratico (e produttivo) aiutare i ragazzi a familiarizzare con gli strumenti a loro disposizione che colpevolizzarli perché all’epoca nostra tutto questo non lo avevamo.

2 commenti:

  1. No... ecco... aiuto!!
    Per fortuna davanti a me ho ancora tre anni di scuola primaria :D

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  2. Al mio primo figlio l'abbiamo regalato in occasione della Cresima, Seconda media. Al mio secondo...vedremo, ora ha frequentato la prima

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